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senti, se ti pesa tanto, fa un po come ti pare... Le mie
son chiacchiere, e come mi vengono in bocca te le do...
Ma se t incalori così, vuol dire che anche a te la faccenda
scotta...».
«È vero» ammetteva la Califfa, mettendosi a sedere
sul muricciolo e prendendosi la testa nelle mani. «È ve-
ro...»
E la Viola insisteva: «Ma dico io: hai una casa che è
una bellezza, un altro terno al lotto l hai vinto a capitare
con uno che ti rispetta, per non parlare dei soldi, e vuoi
rischiare tutto perché? Per farti vedere a far la bella con
lui, per dire guarda qua che vestiti che mi regala, alla
faccia vostra!... Crepate d invidia, crepate!... Un calcolo
Letteratura italiana Einaudi 167
Alberto Bevilacqua - La califfa
giusto, Califfa, sacrosanto, tutto quello che vuoi, ma non
per chi, come te, campa sul filo del rasoio!».
La Califfa la guardava, con un aria amara nel suo sor-
riso, e scrollava la testa: «No, Viola mia, qui non hai ra-
gione. È qui che non capisci... Perché il mio sangue di
conti non ne fa, e non ne ha mai fatti, ed è com è sempre
stato, cioè prepotente...».
«E allora?»
«E allora l ho già scontata anche troppo, la vita, an-
che troppo l ho piegato, questo collo, perché gli altri
erano gli altri... E cosa ci ho guadagnato?... Voglio gio-
carmi diversamente la fortuna mia, Viola!... Non mi ba-
sta star contenta di un giorno in più, con l idea ch è tut-
to di guadagnato... E che m importa poi dei soldi? Che
m importa di ritornare a zero? A zero ci torno lo stesso,
se è destino. Ma intanto che ci sto, ci voglio stare fino in
fondo!» Prendeva la Viola per le braccia: «Cerca di ca-
pire Viola, cerca!...».
Alla Viola veniva un groppo in gola: «Ma che vuoi
che capisca... Sono arpie, sono, e aspettano solo che ti
monti la testa, perché sei stata fortunata, perché sei bel-
la, perché sei giovane... che ti monti la testa per farti la
forca!...».
«Evviva la forca!» gridava la Califfa infiammandosi.
«Meglio la forca, perdio, che averci paura di loro!... Me-
glio la forca che vivere col contagocce, anche se ho già
masticato tanto amaro!... Voglio scappare fuori, ridere,
ballare, anche se sono slandra, senza vergogna, e costi
pure... Perché tu dici che non ci ho il diritto, e invece ce
l ho, ce l ho Viola... il diritto della mia coscienza, il dirit-
to di quello che ho patito!...»
La Viola non parlava più. Rimaneva in silenzio, a
guardarsi la punta delle scarpe.
Letteratura italiana Einaudi 168
Alberto Bevilacqua - La califfa
2.
E così, una sera che lui m arriva in casa e mi dice che
ci sarebbe una festa, non mi ricordo più dove, in campa-
gna, ma è inutile anche parlarne, tanto io sono fissata
con la vita domestica, gli dico che si sbaglia, stavolta, e
andiamo pure... Eh no, un altra sera a guardarlo in fac-
cia immusonito, con tutte le sacrosante ragioni, solo per
far contenta la Viola, che forse vedeva anche giusto, non
dico, un altra sera così, no.
Lui mi dice «ma va ...», e quasi non ci crede. Si convin-
ce solo quando m infilo quel vestito che avevo sempre la-
sciato nel cassetto (tanto che lo mettevo a fare, per far
piacere ai quadri?) e lui si lamentava sempre che erano
stati soldi buttati via. E mi tiro anche indietro i capelli,
così come so di star meglio, poi borsetta e guanti, e via.
Ma quando siamo in macchina e il Doberdò sta per
imboccare la strada giusta, io gli faccio: «No, per favore,
per di qua...».
«Ma di qui si va dall altra parte. La festa sta laggiù.»
«Solo un giretto, per favore...» Lui fa una smorfia e,
con un accelerata, ecco che ci troviamo di là dal ponte e
la macchina comincia a saltare per borghi e spianate,
con un buio d inferno e lo smoccolo che canta nei fossi.
Lui si guarda intorno senza capirci niente. Certi mura-
glioni da far paura, lucette infilate qua e là, ma così
smorte che ci si vede sempre di meno, e poi quei pochi
che stanno stravaccati davanti alle porte e che a vedere
quel macchinone che si infanga e ci sono momenti che
quasi non ci passa neanche, tant è stretta la strada, ci
guardano di stucco.
Lui suda a tener la macchina, e forse crede che io sia
diventata matta, perché dico avanti avanti, ma più avanti
si va, peggio è. Se sapesse la pena mia, alle zaffate di que-
gli odori, a veder scappare quei gatti, con il polverone che
si infila nelle porte e nelle finestre, morte come se nelle
Letteratura italiana Einaudi 169
Alberto Bevilacqua - La califfa
case non ci abitasse nessuno. Se sapesse cosa provo io, a
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